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E POI VENNE IL LAGO 


e poi venne il lago

…E POI VENNE IL LAGO

scarica l'audio della storia narrato da Adriano Simoncini

Nel settembre del 1950 gli anziani del paese intuirono l'evento che di lì a pochi mesi avrebbe cambiato la vita di parecchi abitanti del luogo.

Sul terreno si aprirono fessure che si prolungarono di giorno in giorno ed andarono ad interessare la strada che da Castel dell'Alpi portava a San Benedetto Val di Sambro. Cominciarono ad aprirsi incrinature sulle pareti delle case e sui muri di sostegno delle scarpate, i terreni rigonfiavano come lievitati e le sorgenti, che numerose si offrivano ai viandanti, sparivano disperdendosi negli anfratti franosi.

Dalle case, compresse da una forza inconsueta, uscivano sinistri scricchiolii, decifrati solamente dai più esperti anziani del paese.

I primi crepacci di preoccupante dimensione furono rilevati in località Betticava, a 1050 metri di altitudine, sotto la cresta del Monte dei Cucchi, quindi lungo il Rio Battocchio e verso il ponte che lo attraversava, più tardi verso il Rio Forcone. L'evidente messaggio di questi accertamenti indusse la popolazione interessata a iniziare, nella disperazione più nera, il rituale sgombero delle abitazioni in pericolo. Si caricarono su carri e birocci le poche masserizie, poi qualcuno cominciò la demolizione dei pavimenti ed il recupero delle preziose tegole, confidando nel profondo del cuore di poterle un giorno riutilizzare.

Qualcuno si rifiutava di abbandonare la propria casa ma fu costretto a farlo quando, il 23 febbraio 1951, un'enorme massa di terra e detriti si staccò dal versante sinistro del Savena, un centinaio di metri prima della cima del Monte dei Cucchi fra la Betticava ed i Giuncari, e si mosse inarrestabile verso il fondo della valle.

I racconti che ho potuto memorizzare sono molteplici ed a volte contraddittori, quasi impregnati di una sorta di mistero, ma tutti appaiono in egual misura suggestivi per l'intensità emotiva che ancora oggi traspare nei volti e nelle parole delle persone che hanno vissuto quell'angosciosa esperienza.

Il procedere lento della rovinosa frana, in un'atmosfera surreale lacerata dai latrati dei cani impazziti, consentiva alla gente, silenziosa ed attonita, di assistere disarmata ad uno spettacolo rovinoso e sconvolgente.

Il terreno in movimento prima si apriva per creare voragini mai viste, quindi si increspava formando cumuli di detriti che sollevavano le case da terra di parecchi metri per poi rischiacciarle al suolo ed inghiottirle fra lo stridore delle pietre e lo scricchiolare delle travi divelte.

La gente vide sparire davanti ai propri occhi le case, la scuola, l'edificio della cooperativa e si attese che uguale sorte sarebbe toccata anche al vecchio complesso parrocchiale, che col nodo in gola era stato premurosamente spogliato degli arredi sacri: perfino i pavimenti erano stati divelti e l'altare smontato  per un' eventuale riutilizzo. Dal bel campanile vennero portate via le preziose campane, calandole a forza di braccia dai finestroni: a tutto, insomma, si era provveduto in vista della distruzione.

Inaspettatamente, però, lo sperone di roccia su cui poggia il complesso parrocchiale resistette all' impeto della frana deviandola più a valle; la massa detritica si appoggiò alla sponda destra del Savena ostruendone il passaggio.

I danni della frana furono ingenti e si concretizzarono in soli 15 giorni, le case distrutte furono 32 oltre alla scuola ed alcuni altri edifici, 30 le famiglie senza tetto, costituite complessivamente da 141 persone. La strada carrozzabile che univa Castel dell 'Alpi al capoluogo subì, per una lunghezza di circa un chilometro, uno scorrimento che la portò quasi intatta assai più in basso della posizione primitiva. Il lago che venne quindi a formarsi misurava 960 metri di lunghezza, con una larghezza massima di 250 m  e la profondità  massima era di 18.

L'acqua era giunta a 7,5 metri sotto il livello stradale del ponte sul Savena; in seguito fu riportata a metri 10,50 per liberare dalle acque il Molino di Santino. In questo luogo un mulino, una piccola abitazione ed un oratorio dedicato alla SS. Trinità rimasero parzialmente sommersi per un certo tempo ed era frequente vedere i ragazzi del luogo usare le finestre dei pericolanti ruderi come trampolini per tuffarsi nelle acque del lago. Queste costruzioni crollarono e rimasero sommerse, e così nel tempo si è diffusa la convinzione che nelle serate di vento il forte ondeggiare delle acque muova la piccola campana dell'oratorio sommerso, liberandone un suono quasi lugubre.

Oggi Castel dell'Alpi è un piacevole ed ospitale paese di montagna, che ha saputo cogliere gli aspetti positivi di eventi straordinari come quelli narrati e che vede nel lago una fonte di reddito per gli operatori del luogo. Come in altre occasioni, insomma, anche in questa circostanza tutto il male non è venuto per nuocere.

 

Testo e narrazione di Massimo Simoncini

 




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