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PIAN DEL VOGLIO 


Pian del Voglio

A partire dalle epoche più remote, l’antichissimo nucleo abitato di Piano del Voglio (con il toponimo Pian del Voglio si indica solo e soltanto la vicina uscita autostradale) così come i suoi territori circostanti, costituivano una delle aree di primaria comunicazione tra la Toscana e l’Emilia. Infatti nell’anno 187 (avanti Cristo) venne costruita la via “Flaminia Militare” che, attraverso l’appennino Tosco Emiliano, collegava Firenze a Bologna toccando il Passo della Futa, Monte Lunario, Monte Bastione, Monte Venere, Monte Adone, entrando nella Valle del Savena fino a raggiungere San Ruffillo e Bologna. In epoca bizantina, Pian del Voglio si trovava in zona di confine tra l’area di influenza bizantina dell’esarcato di Ravenna e il Ducato Longobardo. Resta anche il toponimo del fiume che scorre alle sue pendici denominato “Setta” che in latino tra origine da “Sectum” ossia confine e linea di separazione. A Pian di Balestra sul monte “Ballistam” venne innalzato un punto di difesa bizantino più forte che era munito di molte catapulte e balestre pesanti e che veniva costantemente presidiato dai legionari detti“Pilanus” (dal latino legione di soldati muniti di giavellotti). Da qui ha origini il nome antico di “Pilianum” ossia un accampamento con torre di vedetta (ubicata presumibilmente dove oggi c’è l’antico Palazzo sopra la chiesa arcipretale con nell’attuale posizione della piazza del mercato un accampamento di guardia alla vicina frontiera longobarda.

Nel periodo alto e pieno medioevale “Pilianum”, divenuto poi in seguito “Pigliano” ed anche “Pillano”, era stato suddiviso tra diversi feudi che corrispondevano, pressappoco per estensione, agli attuali territori dei paesi di Piano del Voglio (con annessi Montefredente e Qualto) di Baragazza, di Castiglione dei Pepoli, Bruscoli ed infine Montepiano. Una testimonianza dell’anno 1164 (dopo Cristo) mostra che questi territori pianesi erano sotto il dominio dei conti Alberti di Mangona e Prato, che lo ebbero in feudo dall’imperatore Federico Barbarossa. Questa famiglia è ricordata sinistramente anche dal grande Dante Alighieri.

In seguito, il dominio di questa terra fu conquistato dal Comune di Bologna che lo strappò ai conti Alberti da Prato per costruirvi fortilizi e castelli per motivi di confine per difendersi dalla vicina e temuta Firenze. Il Senato bolognese lo donò successivamente per meriti diplomatici e successi ottenuti alla corte di Francia al Cavaliere Pietro (detto Petruzzo) dei Bianchi, il quale fu ambasciatore del Senato bolognese anche presso il Papa Urbano VI a Roma. Cent'anni dopo Papa Clemente VII elevò il feudo a Contea.

La famiglia De Bianchi lo conservò fino al 1797 (dopo Cristo), fino a quando venne invaso da truppe napoleoniche, e quindi cessato il feudalesimo, seguì le vicende del Regno d’Italia.

Ancora oggi molti edifici di elevato pregio storico, possono testimoniare questa storia prestigiosa ed antica. Ne sono l’esempio “La fattoria” conosciuta anche come palazzo “La Torre”, ove erano soliti soggiornare i nobili Ranuzzi De Bianchi, Cà de Morelli, i portici antistanti la piazza dell’edificio “La Loggia” ed infine l’antico Palazzo baronale che venne anche adottato come asilo parrocchiale e sede della Residenza Municipale.

In esso furono accolti ed ospitati alcuni membri della famiglia Medici, quando erano esuli da Firenze, e Papa Benedetto XVI, quando questi era ancora cardinale, usava recarsi a Piano del Voglio come luogo di villeggiatura. Tra gli ospiti anche membri delle famiglie Bentivoglio e di quella dei Dall’Armi.

Caduta definitivamente la feudalità, fu riconosciuto in virtù del “motu proprio” dal pontefice Pio VII, nell’anno 1816, come Capoluogo di dodici piccoli villaggi detti “appodiati” e successivamente formato da dieci attuali frazioni.

Con Regio Decreto del 16 ottobre 1862 al suo nome venne aggiunto quello di “del Voglio” da un torrente che scorre nel suo territorio per distinguerlo da altri comuni denominati “Piano”.

Nel 1871 la frazione di San Benedetto Val di Sambro, in seguito ad una agitazione, riuscì a trasferire presso di sé gli uffici Comunali, fino a quando, nel 1924, ottenne di cambiare definitivamente la sua denominazione da “Comune di Piano del Voglio” a quella di “Comune di San Benedetto Val di Sambro”.

In seguito, il dominio di questa antica terra fu conquistato dal Comune di Bologna che lo strappò ai conti Alberti da Prato per costruirvi fortilizi e castelli per motivi di difesa del confine dalla vicina e temuta Firenze. Il Senato bolognese lo donò  successivamente a Pietro dei Bianchi, il quale fu ambasciatore presso il Papa Urbano VI. Cent'anni dopo Papa Clemente VII elevò il feudo a Contea.

La famiglia De Bianchi lo conservò fino al 1800, fino a quando cioè, cessato il feudalesimo, la proprietà passò alla imparentata famiglia dei Ranuzzi dei Bianchi , che a lungo vi ha dominato.

Tutte le loro proprietà rammentano l’antico feudo. Ne sono esempio “La fattoria”, ove erano soliti soggiornare, Cà Morelli, i portici antistanti la piazza ed infine l’antico Palazzo baronale.

Quest’ultimo fu residenza del Comune ed è ora sede dell’asilo parrocchiale. In esso furono alcuni della famiglia Medici, quando erano esuli da Firenze, e Papa Benedetto XVI, allorché, essendo ancora cardinale, usava recarsi a Piano come luogo di villeggiatura.

Caduta la feudalità, fu riconosciuto in virtù del “motu proprio” di Pio VII, nel 1816, come Capoluogo di 12 villaggi detti “appodiati” e successivamente formato da dieci frazioni.

Con Regio Decreto 16 ottobre 1862 al suo nome venne aggiunto la specifica di “del Voglio” da un torrente che scorre nel suo territorio, denominando anche l’intera vallata, per distinguerlo da altre località sempre denominate “Piano”.

Nell’anno 1870 la frazione di San Benedetto Val di Sembro, in seguito ad una agitazione, riuscì a trasferire presso di sé gli uffici comunali, fino a quando, nel 1924, ottenne di cambiare radicalmente la denominazione del “Comune di Pian del Voglio” in quella di “Comune di San Benedetto Val di Sambro”.

Pian del Voglio è un paese montano immerso nei boschi di faggio abete e castagno che dal Monte Bastione discendono fino al torrente setta.

Le numerose sorgenti e l’ambiente particolarmente incontaminato ne fanno uno dei luoghi più caratteristici del nostro Appennino.

di Maurizio Valentini




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